lunedì 27 maggio 2024

Cos’è l’armocromia e come si applica nella scelta dei colori

 

Oggi si sente molto parlare di armocromia e di come possa essere utile nella vita di tutti i giorni per trovare i colori che meglio si adattano a una persona. Ma cos’è l’armocromia esattamente? Com’è nata e quali sono i principi sui quali si basa? Scopriamolo insieme.

Cos’è l’armocromia: la definizione

Partiamo dalla definizione: l’armocromia è una disciplina che definisce la palette di colori più adatti a ogni singola persona in base alla sua combinazione cromatica di carnagione, occhi e capelli. I colori così individuati e chiamati “amici” riuscirebbero a valorizzare i punti di forza dell’individuo, facendolo apparire più bello e luminoso. I colori “nemici”, ovvero quelli che non si adattano alla combinazione cromatica della persona, la farebbero apparire, al contrario, spenta, accentuando eventuali difetti o discromie.

Lo scopo dell’armocromia

Una consulenza di armocromia serve a individuare i colori “amici” di una persona. Lo scopo è quello di definire, quindi, una palette di sfumature che si adattano a quelle naturali di ogni singolo individuo, per aiutarlo a orientarsi nelle scelte cromatiche per quanto riguarda l’abbigliamento e il make-up e per riuscire quindi a valorizzare la sua immagine. Secondo gli esperti, questa valorizzazione estetica avrebbe anche un effetto positivo a livello psicologico: indossare i colori che si addicono alla propria persona, infatti, conferirebbe una maggiore fiducia in sé stessi e una maggiore sicurezza nelle proprie potenzialità, favorendo il raggiungimento dei propri obiettivi, sia a livello professionale che a livello personale.

Come è nata l’armocromia

Anche se questa disciplina è diventata di moda solo recentemente, in realtà è nata molti anni fa. A partire dall’Ottocento diversi studiosi, infatti, hanno iniziato ad analizzare gli abbinamenti tra colori. In seguito, negli anni Trenta del Novecento, i colori assunsero un ruolo fondamentale ad Hollywood, perché nel cinema divenne importante riuscire a combinare al meglio i colori, soprattutto nell’abbigliamento delle star, che doveva essere scelto anche in base alle loro caratteristiche fisiche.

Negli anni Sessanta l’artista e professore della Bauhaus University, Johannes Itten, tentò un nuovo approccio suddividendo i colori in gruppi diversi in base alle tonalità tipiche di ciascuna stagione, collegandoli poi alle tonalità di carnagione, occhi e capelli. Fu proprio Itten a definire una nuova teoria dei colori nel volume “L’arte del colore” pubblicato nel 1961. Nella sua opera il professore suddivide i colori in base a due delle loro principali caratteristiche, ovvero temperatura (caldo/freddo) e valore cromatico (chiaro/scuro). La temperatura definisce i colori caldi, ossia quelli a base gialla, e i colori freddi, ossia quelli a base blu; lo studioso definì quindi i colori primari, ossia rosso, giallo e blu, dai quali derivano tutti gli altri colori. L’aggiunta del bianco e del nero conferisce a ciascuna tonalità la luminosità oppure la profondità.

In seguito, due volumi definirono meglio il concetto di armocromia: il primo si intitola “Color Me a Season” e fu scritto dalla cosmetologa americana Bernice Kentner nel 1978. In questo libro, l’autrice provò a suddividere le sfumature in quattro palette ben definite, sempre legate alle quattro stagioni, ossia Autunno, Inverno, Primavera ed Estate. Ciascuna palette può essere abbinata a determinate caratteristiche cromatiche legate all’aspetto fisico di una persona.

Il secondo importante volume che ha posto le basi di questa materia si intitola “Color Me Beautiful” e fu pubblicato nel 1980 da Carole Jackson. Nella sua opera l’autrice ha definito nel dettaglio una palette di trenta colori “amici” per ciascuna stagione di riferimento, spiegando come utilizzarli nello shopping per acquistare capi e accessori con colori che si adattano alle proprie caratteristiche cromatiche.

Come funziona l’armocromia

Seguendo i principi dell’armocromia, si può quindi provare a raggiungere un’armonia cromatica tra le proprie caratteristiche cromatiche e i colori di make-up, abbigliamento e accessori. Per individuare la palette più adatta a ciascuna persona bisogna in primo luogo considerare, appunto, le sue caratteristiche cromatiche fisiche e le loro variabili, come ad esempio:
  • il colore della pelle (chiara, media o scura) ma anche la sua tonalità, che può essere calda (tendente al giallo) o fredda (tendente al rosso), elemento utile soprattutto nella scelta dei colori per il trucco;
  • l’intensità del colore, ossia il suo grado di saturazione che determina il grado di brillantezza, ad esempio nel colore degli occhi;
  • i contrasti tra i colori, ottenuti abbinando tra loro colori di diverso valore, ossia più chiari o più scuri, accostamenti che possono verificarsi anche tra le tonalità di pelle, occhi e capelli.

Le palette dell’armocromia

Basandosi sui colori delle quattro stagioni, in armocromia si distinguono quindi queste quattro palette:
  • Palette autunno: questa stagione è dominata da colori come l’arancione, il marrone, il rosso, il bronzo e il verde. Sono sfumature adatte a chi ha la pelle dorata/ambrata, i capelli castani, mogano, biondo ramato o rossi, gli occhi castani o verde scuro;
  • Palette inverno: i colori di questa stagione sono il bianco, il marrone, il nero, il blu scuro, il rosso scuro, il viola e il grigio. Sono sfumature adatte a chi ha la pelle olivastra, rossastra, capelli scuri, occhi scuri, marroni o verdi;
  • Palette primavera: i colori di questa stagione sono caldi come verde chiaro, verde smeraldo, viola, corallo, turchese, giallo, arancio e rosso, sfumature adatte a chi ha la pelle chiara color miele o color pesca, capelli biondi dorati, ramati, castano chiaro, occhi chiari verde acqua o castani;
  • Palette estate: i colori di questa stagione sono il blu, il celeste, il lilla, il rosa e le tonalità pastello, adatte a chi ha la carnagione bianca o rosata, capelli biondi o castano chiaro, occhi blu, azzurri o verdi.

Questo è solo il prospetto base dei colori che può poi avere variazioni, in base alle caratteristiche di ogni singolo individuo. Per questa ragione, è utile fare il test dell’armocromia per individuare le giuste sfumature: in quello classico ci si mette davanti allo specchio, senza trucco e con indosso una T-shirt bianca, per poi accostare al proprio visto dei drappi di stoffa di vari colori per verificare quale tonalità illumina il viso. Per ottenere la palette più adatta alle proprie caratteristiche, è comunque utile rivolgersi a un esperto che saprà fornire i consigli adeguati.

lunedì 20 maggio 2024

La storia di Ken, il fidanzato di Barbie


Barbie, la bambola più famosa del mondo celebrata anche al cinema con l’omonimo film che vede come protagonista Margot Robbie, ha anche un famoso fidanzato: si tratta di Ken, il personaggio maschile che da sempre affianca la protagonista dell’universo Mattel. Scopriamo, quindi, insieme la storia del Ken di Barbie, dalla sua prima produzione fino a oggi.

Il primo Ken di Barbie

Il primo Ken di Barbie è stato prodotto nel 1961, esattamente due anni dopo la creazione della prima bambola Mattel. I fondatori della Mattel Creations e suoi produttori, Ruth ed Elliot Handler, lo hanno chiamato come il loro figlio, ossia Kenneth. Di cognome, invece, Ken fa Carson ed è originario di Willows, una cittadina immaginaria del Wisconsin. Il noto bambolotto è stato creato per far sì che Barbie avesse un partner: nella storia i due si conoscono proprio nel 1961 su un set cinematografico e si innamorano.

Il Ken di Barbie originale aveva un look da surfista, con calzoncini rossi da bagno e una camicia rossa, dei sandali e un asciugamano da spiaggia come accessorio. In origine aveva i capelli scuri come le prime Barbie ma poi, negli anni, è stato realizzato con i capelli castani o biondi. Inizialmente la capigliatura era come quella della bambola, ossia realizzata con dei singoli filamenti; in seguito, invece, i capelli di Ken sono stati prodotti con un’unica massa di plastica facente parte dello stesso pezzo che compone la testa.

L’evoluzione della bambola Ken di Barbie

Proprio come la sua fidanzata Barbie, che negli anni ha collezionato look, mestieri e case, anche Ken in oltre 60 anni di storia è stato il protagonista di un lungo percorso. Dal 1961 a oggi Ken è stato prodotto in oltre 40 diverse versioni, dal bagnino fino al pilota, passando per il barista, il reporter, il dottore, il principe, il cavaliere e lo sportivo, tutti modelli ovviamente corredati da accessori e abiti a tema.

Da Ken agli altri personaggi di Barbie

Ben presto i produttori Mattel compresero che Barbie, oltre che di un fidanzato, aveva bisogno anche di amici e parenti. Fu proprio così che nacquero altri personaggi che sono poi andati ad arricchire l’universo rosa della celeberrima bambola. Negli anni successivi sono quindi arrivati Skipper, la prima sorellina di Barbie, poi a seguire le altre Stacie, Shelly e Krissy, fino Christie, l’amica afroamericana. In seguito, sono stati aggiunti anche altri personaggi maschili. Vediamo quali sono i principali.

Blaine

Nella storia Barbie e Ken, in realtà, hanno una crisi e si separano nel 2004. A quel punto lei incontra Blaine, un biondo surfista australiano che per due anni ha sostituito Ken al suo fianco, ottenendo anche un grande successo da parte del pubblico. Nel 2006, però, Ken è tornato in produzione e ha ripreso il suo ruolo di fidanzato di Barbie.

Allan

Allan Sherwood è uno dei primi personaggi maschili di Barbie: è stato realizzato per diventare il marito di Midge, la prima amica di Barbie, e il migliore amico di Ken.

Brad

Brad è il personaggio maschile di origini afroamericane: fidanzato di Christie, per un periodo prende il posto di Allan come migliore amico di Ken.

Il successo del Ken di Barbie

La realizzazione di un personaggio maschile ha ampliato il mondo di Barbie e ha contribuito ad aumentare il suo successo: con Ken, infatti, la storia della bambola è cambiata e si è evoluta anche se, di fatto, la regina dell’universo Mattel resta sempre lei.

Nel film “Barbie” Ken è interpretato da Ryan Gosling: direttamente dal film, è arrivato in edicola il Set Cameretta da Letto per poter ricreare le scene della pellicola! Richiedilo subito al tuo edicolante!

lunedì 13 maggio 2024

Chi ha inventato il cubo di Rubik?

 

Il cubo di Rubik, noto anche come “cubo magico”, è un rompicapo che appassiona milioni di persone in tutto il mondo. Scopriamo insieme la sua storia.

L’invenzione del cubo di Rubik

Il cubo di Rubik è stato inventato nel 1974 da Ernő Rubik, un professore di architettura e scultore ungherese. A quell’epoca insegnava presso l’Accademia di arti e design di Budapest e un giorno ebbe l’idea di progettare uno strumento didattico da utilizzare durante le sue lezioni. In realtà, il professore stava cercando un sistema per muovere sezioni indipendenti di una struttura, in questo caso un cubo, senza dove smontare e rimontare l’intero meccanismo.

Rubik si rese conto di aver creato un vero e proprio rompicapo solo quando scompose tutte le parti del cubo e provò a rimontarle. Il cubo di Rubik originale era diverso rispetto a quello che conosciamo noi oggi: innanzitutto era di legno e non di plastica, poi era monocolore e aveva gli angoli smussati.

Inizialmente l’invenzione di Rubik si diffuse soprattutto tra gli studiosi del settore, incuriositi dai problemi statici e teorici che quel rompicapo aveva sollevato. Ben presto, però, il cubo divenne un oggetto acquistabile da chiunque.

La storia e il successo del cubo di Rubik

Nel 1975 il professor Rubik ottenne il primo brevetto per la sua invenzione, che fu chiamata “Cubo magico”. Solo nel 1977, però, l’oggetto fu modificato, prodotto in esemplari di plastica colorata e distribuito nei negozi di giocattoli di Budapest.

Nel 1979 il cubo fu presentato alla fiera dei giocattoli di Norimberga: fu proprio in quell’occasione che attirò l’interesse del fondatore dell’azienda di giocattoli Seven Towns, Tom Kremer, il quale propose a Rubik un accordo per esportare la sua invenzione all’estero. Fu così che i due firmarono un contratto con la Ideal Toy che si occupò subito di presentare il rompicapo, con il nuovo nome di “cubo di Rubik”, a tutte le altre più famose fiere di giocattoli.

Nel 1980 iniziò l’esportazione del prodotto: inizialmente le vendite non furono soddisfacenti, ma le cose cambiarono ben presto dopo un’intensa campagna pubblicitaria in televisione e sui giornali. La strategia si rivelò efficace: il cubo vinse alcuni premi come miglior giocattolo in vari Paesi e nel 1981 era già molto diffuso, diventando una vera e propria moda in tutto il mondo. Risolvere il rompicapo risultava però difficile per molte persone, così furono pubblicati diversi libri con le istruzioni sul cubo di Rubik, volumi che divennero ben presto dei best seller. Dopo aver ottenuto altri brevetti negli Stati Uniti, nel 1983 al professore fu riconosciuta ufficialmente la paternità dell’opera, messa in dubbio da altri scienziati che sostenevano di aver elaborato un sistema simile prima di lui.

Com’è fatto il cubo di Rubik

Il cubo di Rubik originale misura 5,4 centimetri per ogni lato e ha sei facce composte da 9 quadratini ciascuna (3x3x3) di colore diverso, per un totale di sei colori, ossia uno a facciata quando il rompicapo viene risolto. Esistono poi tante altre versioni; tra le principali ci sono la Pocket Cube, la più semplice con 4 quadratini per ciascuna faccia (2x2x2), e poi le due più avanzate, ossia la Rubik’s Revenge, con 16 quadratini per ciascuna faccia (4x4x4), e la Professor’s Cube, con 25 quadratini per ciascuna faccia (5x5x5).

Come funziona il cubo di Rubik

A seconda della tipologia, il cubo è composto da vari cubi più piccoli distinti, che si incastrano tra di loro e che sono a loro volta agganciati a un meccanismo centrale tramite un perno posto su uno dei loro spigoli. Questo sistema consente di spostare i cubetti, facendo ruotare le varie sezioni lungo due assi, così da poter creare combinazioni diverse.

A cosa serve il cubo di Rubik

Oltre a essere un divertente passatempo, il cubo di Rubik è un oggetto in grado di sviluppare l’abilità matematica e la conoscenza dello spazio. Può, inoltre, aiutare a esercitare la memoria. È un rompicapo adatto a ogni età ed è in grado di stimolare l’attività del nostro cervello come forse pochi altri rompicapi riescono a fare.

Come risolvere il cubo di Rubik

Lo scopo di questo rompicapo è quello di ricomporre le facciate del cubo, riportandole alla posizione originale, ossia quella in cui ciascuna facciata è composta da quadratini dello stesso colore. Le combinazioni possibili del cubo, ossia le diverse disposizioni dei pezzi, sono tantissime: si parla di trilioni, considerando le rotazioni di ogni singola parte del cubo. Risolverlo, dunque, è tutt’altro che semplice.

Negli anni gli esperti hanno elaborato diverse tecniche basate su algoritmi specifici, delle quali la più semplice è quella che prevede di procedere strato per strato, effettuando in totale sette passaggi (croce, angoli primo strato, secondo strato, orientamento spigoli, permutazione spigoli, orientamento angoli, permutazione angoli). Oltre a tanto allenamento, per risolvere il cubo di Rubik, dunque, bisogna affidarsi al proprio intuito oppure imparare uno dei tanti metodi ormai collaudati, come i due più famosi, il primo elaborato dall’informatica statunitense Jessica Fridrich e il secondo dallo svedese Lars Petrus.

I record del cubo di Rubik

Gli anni ’80 furono gli anni d’oro per il cubo di Rubik che, in ogni caso, è riuscito a mantenere una certa popolarità nel tempo: sebbene con alti e bassi, infatti, il giocattolo ha continuato e continua ancora oggi a essere venduto e prodotto in varie versioni. È ormai un oggetto cult nella cultura pop, non a caso è comparso anche in numerosi film, serie tv e cartoni animati. Nel 2003 sono nate la gare di Speedcubing il cui scopo è quello di risolvere il cubo di Rubik nel minor tempo possibile oppure in modi particolari. Nel 2004 è stata fondata la World Cube Association che si occupa proprio di organizzare queste competizioni e di regolamentarle.

I più recenti record mondiali del cubo di Rubik nelle principali categorie di gare sono:

  • Risoluzione più veloce del cubo 2x2x2: Guanbo Wang in 0,47 secondi (2022);
  • Risoluzione più veloce del cubo 3x3x3: Yusheng Du in 3,47 secondi (2018);
  • Risoluzione più veloce del cubo 4x4x4: Max Park in 16,86 secondi (2021);
  • Risoluzione più veloce del cubo 5x5x5: Max Park in 33,02 secondi (2022);
  • Risoluzione del cubo di Rubik 3x3x3 da bendati: Tommy Cherry in 12,78 secondi (2023);
  • Risoluzione più veloce del cubo 3x3x3 con una mano sola: Max Park in 6,20 secondi (2022);
  • Risoluzione più veloce del cubo 3x3x3 con il minor numero di mosse: Sebastiano Tronto in 16 mosse (2019).
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lunedì 6 maggio 2024

Le più belle macchine di Fast and Furious

Il film “Fast & Furious 10”, uscito quest’anno nelle sale, dimostra come questa sia una delle saghe cinematografiche più amate e seguite di sempre. Protagoniste di queste avvincenti storie che, dopo oltre vent’anni dal primo episodio, appassionano ancora milioni di fan, sono anche le macchine di Fast and Furious, auto diventate ormai delle vere e proprie icone.

Le auto di Fast and Furious

Dieci film sono davvero tanti, così come tanti sono stati i set e le scene girate a partire dal 2001, anno di uscita del primo capitolo della saga. Da allora, nell’universo di Fast and Furious sono passate più di 12.000 automobili, delle quali circa 2.500 sono state completamente distrutte.

Non sono stati solo i potenti effetti speciali, le trame avvincenti e cariche di adrenalina o i carismatici protagonisti a rendere questo franchise così longevo: ogni macchina di Fast and Furious ha contribuito in maniera significativa al successo mondiale di ogni episodio, grazie alle incredibili scene in cui le abbiamo viste in azione col fiato sospeso. Scopriamo quali sono le vetture simbolo di questa serie di film.

La Mitsubishi Eclipse 1995

Nel primo film della serie, il protagonista Brian O’Conner (Paul Walker) utilizza questa automobile per cercare di entrare nel mondo delle corse clandestine in incognito, dato che in quel momento era ancora un agente dell’FBI sotto copertura. Questa potente Mitsubishi di colore verde acido è una delle più famose della storia, anche se poi è andata distrutta come molte altre.

La Dodge Charger di Fast and Furious

Come anticipato, molte machine in Fast and Furious finiscono per essere distrutte; tuttavia, ci sono delle vetture che, al contrario, diventano parte integrante della storia e segni distintivi di alcuni dei protagonisti. La Dodge Carter R/T posseduta da Dominic Toretto, personaggio interpretato da Vin Diesel, ne è un esempio: vera e propria icona degli anni ’70, questa automobile viene ricordata soprattutto per i trionfi nel campionato automobilistico americano della Nascar. Nel film, in realtà, appartiene al padre di Toretto: grazie all’amicizia con Brian e alla sfida che lo attende, Dom decide di tornare a guidarla dopo la morte del genitore. L’automobile ricomparirà poi anche in “Solo parti originali” e “Fast and Furious 5”, guidata sia da Brian che da Dom a Rio de Janeiro. L’agente Luke Hobbs alla fine la distruggerà.

La Toyota Supra Turbo

Se la Charger è la macchina simbolo di Dominic, la Toyota Supra Turbo del 1995 è la macchina simbolo di Brian O’Conner, che la recupera da una discarica nel primo film e la porta nel garage di Toretto: qui viene trasformata in un bolide in grado di battere automobili ben più performanti, come la Ferrari F-355 Side. Brian la guiderà in diversi film e nelle più svariate situazioni, persino davanti a un treno in corsa. Questa automobile è famosa perché riesce a raggiungere le 210 miglia orarie in pochissimi secondi.

La Nissan Skyline GT-R R34

La Nissan Skyline GT-R R34 è un’altra delle vetture pilotate da Brian O’Connor nel corso della storia. La sua prima comparsa è nel secondo capitolo della saga: viene guidata da Brian prima nella gara, dopo il salto dal ponte levatoio in movimento, e poi per scappare in Messico. Con scatti 0-100 in appena 4,9 secondi, un velocità massima di 269 km/h e la trazione integrale, si tratta di un vero e proprio gioiellino che spicca nel film: nata nel 1969, negli anni Ottanta divenne la vettura esclusiva della polizia giapponese.

La Ford Mustang

La celeberrima Mustang del 1967 è la protagonista del film “Tokyo Drift”, il terzo episodio della saga, durante il quale viene modificata in maniera significativa: il motore originale, infatti, viene sostituito con quello della Nissan Skyline GT-R guidata da Brian nei precedenti capitoli.

La Mazda RX-7

Nel primo film la Mazda RX-7 compare parcheggiata nel garage di Toretto ma ben presto diventa una protagonista indiscussa della storia: in “Tokyo Drift” questa macchina, nella versione VeilSide arancione e nera, riesce a dar del filo da torcere alla polizia lanciata all’inseguimento dei protagonisti, anche grazie alle modifiche che le consentono di raggiungere i 100 km/h in poco più di 5 secondi. Viene poi utilizzata da Han Lue per introdurre il giovane Sean nel mondo delle gare clandestine.

La Chevrolet Camaro Yenko Syc

La Chevreolet Camaro Yenko Syc del ’69 del celebre colore Les Mans Blue con motore 425HP, cambio manuale a quattro rapporti compare in “2 Fast 2 Furious”, il secondo capitolo della saga. Nello specifico, viene utilizzata da Brian per vincere una gara clandestina e successivamente per fuggire dalla polizia, prima di compiere un salto incredibile da una rampa, fin sopra la barca del nemico Carter Verone.

Il pick-up Chevrolet Apache Fleetside Custom

Nella famosa scena della rapina alla pompa di benzina di “Fast and Furious – Solo parti originaliHan Sung Kang guida questo potente pick-up prodotto agli inizi degli anni ’50.

La Plymouth Road Runner Superbird

Questa automobile compare tre volte nella saga: la prima nel 2006, in “Tokyo Drift”, la seconda nel 2009 in “Solo parti originali” e la terza nel 2015 nel settimo capitolo della saga. La Plymouth è nata negli anni ’70 e inizialmente era destinata alla Nascar; viene ricordata anche perché è stata una delle prime automobili costruite con progetti di studio dell’aerodinamica, basati sull’apparecchiatura chiamata “galleria del vento”.

La W Motors Lykan HyperSport

È una supercar prodotta dal marchio libanese W Motors e compare nel settimo capitolo di Fast and Furious. Realizzata in soli sette esemplari, questa vettura è la prima fuoriserie di questo tipo a essere costruita in Medio Oriente. Possiede 770 cavalli e un motore biturbo che le consentono di raggiungere i 395 km/h. Nel film si vede questa vettura saltare addirittura tra i grattacieli. Acquistata per il set per oltre 3 milioni di dollari, è stata poi rivenduta all’asta per poco più di 500.000 dollari.

Se sei un fan dei film, allora prova a fare la collezione della auto di Fast and Furious! In edicola, ad esempio, trovi i modelli di Fast & Furious - 6 Automobili in scala 1:32, altrimenti se sei un fan dei mattoncini Lego puoi costruire la famosissima Nissan Skyline GT-R della saga 2 Fast 2 Furious, linea Speed Champions.

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